SU DI ME

“Era quella l’innocenza, era quella l’ingenuità: sedersi in riva a una pozza d’acqua e perdersi a guardare le nuvole. Come se il mondo iniziasse e finisse lì…”. Parto da qui, dalla fine, dall’ultima frase sottolineata.
Questo libro è una pozzanghera che riflette un cielo dove brutto e sereno si passano il testimone come due atleti che corrono per la stessa squadra ma, sotto sotto, competono tra loro. Giusto e sbagliato si inseguono tra le righe come ingredienti di una pozione che, se ingerita a stomaco vuoto, conduce in un mondo “… solitario e solare, allegro e trascurato. Un mondo chiuso sotto una campana di ingenua fanciullezza” per dirla di nuovo con le parole dell’ autrice.
Leggendolo, ad ogni pagina mi sono posto sempre nuove domande: “Com’è possibile essere tanto ingenui?” e ancora “Com’è possibile che una quattordicenne sia in grado di abitare pieghe della vita così tortuose con parole tanto adatte?”
Sara disegna Giulia, la protagonista del suo racconto, come se fosse davanti allo specchio a ricalcare con la matita il contorno della propria immagine riflessa; tanto che quando prendo in mano il libro chiuso, il fronte della copertina mi bisbiglia all’orecchio che quella che sto leggendo è più un’autobiografia che una storia inventata. Uno stralcio di pensieri dell’autrice immortalati in coda al romanzo, mi conferma che non sono poi così lontano dalla verità.
Questo è un libro che parla dell’adolescenza: un mostro che assume forme diverse tante quante volte Carrie Bradshaw cambia scarpe in Sex and the City. Parlarne non è semplice, viverla ancora meno, riuscire a fare entrambe le cose dunque è sbalorditivo. Ancor più se lo si fa in un fazzoletto di terra che sì, è puro frutto della fantasia, ma può tranquillamente somigliare ad uno qualsiasi dei migliaia di paesi di provincia di cui la nostra penisola è piena.
Le solite facce, le solite abitudini che si ripetono come le storie degli anziani seduti davanti casa sulle loro sedie malconce. Grandi paesaggi che compensano il vuoto lasciato dalle piccole ambizioni di abitanti che sembrano al mondo con il solo scopo d’essere puntini irriconoscibili di uno sfondo sfocato.
Le radici di questa giovane pianta (mi piace vedere così questo lavoro) attraversano il terreno narrativo che arpionano con forza, senza troppo nascondersi: Andrea, il miglior amico di Giulia, l’insostituibile compagno di giochi della sua prima porzione di vita, rimane paralizzato in seguito a un incidente ma il dolore per i sogni infranti troppo prematuramente resta in disparte, tutto ruota intorno alla trasformazione.
Lui resta intrappolato nel paese dei balocchi, lei fugge dalle grinfie del gatto e la volpe per scivolare nella tana del bianconiglio e atterrare nell’incantato macrocosmo (o micro a seconda dei punti di vista) dell’amore. E’ a questo punto che i suoi occhi, pur mantenendo stessa forma e colore, iniziano a vedere in maniera differente. I vestiti non sono più solo porzioni di stoffa con cui ci si copre, ma accorgimenti necessari per piacersi e sopratutto piacergli di più. Lei ama lui, lui però non è pronto (ovvio, i maschi non lo sono mai) e s’ingolfa in un silenzio misto a malumore che fa deragliare il rapporto ancor prima che il treno lasci la stazione.
È in questo turbolento periodo che uomini e donne iniziano ad avere esigenze differenti e ad allontanarsi gli uni dalle altre, non in età adulta. È a questo punto infatti che i primi restano aggrappati al concetto di gioco e da lì non si muoveranno fino alla fine dei loro giorni; mentre le seconde, scoperti i risvolti piacevoli della crescita, continueranno a migliorarsi o a tentare di farlo, giorno dopo giorno.
Quella di Giulia però all’inizio è un’involuzione interiore che sfocia in una rivoluzione emotiva e fisica. Le regole sono sbarre che iniziano a soffocarla e la sua femminilità rifiutata la catapulta in un desiderio di affermarsi in maniera diversa nel mondo dei maschi: cercando cioè la loro approvazione come simile. Tornando maschiaccio sembra voler dire: “È questo ciò che volete? Beh, così non solo posso essere alla vostra altezza, ma meglio di voi.”
Le cattive compagnie sono una fuga dalla realtà e un incontro con il proprio inconscio almeno quanto i sogni, perciò vi ci rifugiamo quando non ci sentiamo accettati per quello che sentiamo di essere realmente, perché sono le uniche che ci comprendono.
Giulia sembra non essere l’eccezione a questa regola e si tuffa in quello che oggi viene definito, a mio avviso in modo approssimativo, bullismo. Approssimativo perché, come questo libro ci spiega, non è una scelta. “Quindici anni e un solo corpo per contenere un’esplosiva brama di mondo… una sola mente per tante domande, emozioni incontenibili… problemi e confusione, paure e dubbi… quindici anni e tanta voglia di sparire.”
Cosa significa avere quindici anni? I quindicenni non lo capiscono, gli adulti non se lo ricordano più. Possono saperlo solo i quindicenni che sanno scrivere quello che stanno attraversando (e sono davvero pochi) e possono capirlo gli adulti che di avere quindici anni non hanno mai smesso ma, allo stesso tempo, hanno dalla loro l’esperienza per analizzare quelle informazioni con lucida emozione.
Sara per fortuna è stata una di quelle poche fra parentesi, io per fortuna sono uno dei tanti Peter Pan che dall’isola che non c’è non sono mai più tornati, ecco perché leggendo questo libro ho sentito di capire la bambina che l’ha scritto e non solo, anche di capire il me bambino che allora non capivo.
Giulia ama la natura, ama abbandonarsi nei paesaggi che Sara sa descrivere come raramente ho visto fare in tanti libri che ho letto. Le parole che sceglie per farlo sono leggere ma sicure come mani che desiderano condurre in un posto disegnato apposta per perdercisi. E ama i cani, la bambina. Impossibile pensare che quell’amore sia inventato apposta per la storia come forse lo sono altre cose. Troppo radicato nel profondo, troppo coinvolgente. Un cucciolo trovato e poi regalato per cause di forza maggiore è il buco nero che si apre nel suo universo e inizia ad inghiottire tutto. Un altro cucciolo malmenato è il big bang dal quale un nuovo universo prende forma.
Un furgone, degli artisti di strada e una nuova passione, il teatro, irrompono nella vita della protagonista e la sequestrano. Difficile oggi pensare che a 16 anni si possa prendere e partire per andarsene con dei perfetti sconosciuti in giro per l’Italia, senza che i genitori chiamino i carabinieri e facciano denuncia per sequestro o peggio per pedofilia; ma il bello di questo romanzo è anche questo: la semplicità e la facilità con cui le cose accadono. Giulia vuole andarsene e lo fa. Ha bisogno di quello, quindi perché temporeggiare?
Sono scelte d’altri tempi queste. Oggi con internet, i cellulari e tutta la tecnologia a nostra disposizione, probabilmente dopo nemmeno dieci chilometri sarebbe partita un’apprensiva videochiamata della madre che chiede alla figlia se va tutto bene e se mangia abbastanza, ma soffermarsi su questi aspetti sarebbe inutile perché il punto non è quello, il punto è che Giulia fa una scelta. Segue l’istinto senza rimuginare troppo sui i pro e i contro e va.
Torna quasi vent’anni dopo che è un’altra persona, una donna che sa cos’è l’amore. Non l’ha scoperto grazie a un uomo ma grazie alla passione che ha scelto di vivere vent’anni prima come se, nonostante non fosse altro che un’adolescente, fosse già naufragata sull’ultima spiaggia della vita. Prendere o lasciare, iniziare a vivere o morire dentro per sempre.
Il suo paese è sempre lo stesso, niente muta la dove la gente non sente il bisogno di cambiare, perciò lei lì non stava bene anche se stava bene. I suoi occhi adesso vedono le stesse cose di prima in maniera differente: quelli che prima erano i suoi eroi, sono scaduti e diventati relitti; mentre i professori… i mostri che un tempo volevano succhiare la sua energia creativa con la disciplina, sono diventati i maestri che le hanno insegnato a vivere. “Non è facile educare e allo stesso tempo amare…” Più che altro è impossibile che chi viene educato possa percepire entrambe le cose sembra rispondere Giulia al professore in pensione che incontra su una panchina, lungo la strada che porta all’ospedale dove c’è quell’Andrea che un tempo la rifiutò.
Non scriverò nulla sul finale perché il finale è un ascesso nato e cresciuto ed esploso in malo modo, per la troppa fretta di chiudere un libro che meritava titoli di coda decisamente migliori. Sara, qui, sembra non reggere più il peso della responsabilità che comporta scrivere un libro. Sembra fuggire dallo stesso per la paura d’esserne schiacciata.
Da un finale dipendono un mare di cose. Il finale è il responsabile di tante emozioni: rabbia, tristezza, frustrazione, felicità, speranza, malinconia ed io dopo averlo letto ho visto una bambina china sul suo scrittoio con le dita sollevate e tremanti da una tastiera improvvisamente diventata muta. Una bambina che a un certo punto non prova più niente perché è vuota, scarica. È questa la sensazione che si prova quando si butta tutto fuori all’ improvviso.
Ho saputo che questo libro gira nelle scuole, che bambini aspiranti adolescenti lo leggono e sullo stesso vengono interrogati. È sicuramente un libro adatto perché diversi sono gli insegnamenti al suo interno. Ma credo che anche gli adulti possano trarre beneficio da questa storia, magari cambiando a proprio piacimento il finale mal riuscito. Perché alla fine ognuno il finale se lo deve pure poter scegliere, anche quando si è adulti, perché se è vero che quando si cresce tutto diventa molto più difficile, è vero anche che le difficoltà le vedono i nostri occhi, ma non è detto che ci siano.
(Guido de Rossi)

Appena terminato il libro! che dire…Intenso, e mi è scappata pure la lacrimuccia..! Ma facciamo i seri: le descrizioni sono fantastiche e di vago sapore pavesiano, lo stile è quello e mi sembrava di rivivere le langhe piemontesi… Le parole sono sempre soppesate e mai ridondanti, è fresco, spartano seppur ricco di dettagli. A livello di contenuto, la trama è semplice, si nota che è stata scritta a quattordici anni e quindi magari non ha quello spessore che potresti dargli ora, però le idee ci sono e si vedono, ma si sentono soprattutto. Io credo che sia profondamente a sfondo psicologico, perché non sono tanto gli eventi esterni ad aver rilievo, ma il vissuto di Giulia, come Giulia percepisce quegli eventi. Non è uno scontato vademecum sull’adolescente ribelle. E poi c’è il fil rouge del viaggio interiore, che io lo considero il mio tema, quello che questo libro mi ha trasmesso..E lo considero ‘ avanti’ per una quattordicenne davvero. Quello che ho amato è stato il sesto capitolo, quando parli di Anima, quando tocchi quella figura archetipica e la fai vibrare di quelle vibrazioni che sono l’Anima e null’altro può avere. Un modo ‘deep’ mi verrebbe da dire perché non trovo in italiano un termine per indicare qualcosa di profondo e oscuro al tempo stesso quale l’Anima, ciò che di più caro abbiamo, è. Ora parlo alla Sara ventenne e dico,complimenti davvero. Solo che ho scelto il primo finale per me, perché Giulia, in un certo senso, è ‘arrivata’, può permettersi di sedersi ed alloggiare quanto vuole nel ‘tunnel’, perché si è trovata ormai, e perché lasciamole addosso quello che quella ragazzina quattordicenne voleva. Unica pecca, la superficialità della descrizione dei tratti psicologici, di Giulia mi sembra di sapere poco e niente alla fin fine o anche Simone, che sarebbe un bel personaggio, ma che io avrei fatto trovare a Giulia con una siringa nel braccio disteso sulla panchina, tanto per drammatizzare ancora di più. Hai toccato davvero molti temi che 14enni di oggi manco sanno cosa sono, e approfonditi ancora di più toccherebbero gli apici. Giulia può restare perché ormai, il suo Io l’ha trovato, e se vuole continuare quell’inside job, sa qual è la direzione in cui andare. Sempre alla Sara ventenne dico, complimenti davvero, perché capace di fare vibrare la mia di Anima.
Buona fortuna, Amica! (Antonella Magno, futura psicologa)

Ciao Sara. Ho finito di leggere il tuo libro. Come ti avevo già detto leggendo le recensioni che hai redatto per i miei libri, mi piace il tuo  modo di scrivere, semplice ed essenziale. Riesci a descrivere in poche
parole situazioni ed emozioni che necessiterebbero di libri interi. E’ una cosa che non tutti possiedono. Riguardo la tua storia, mi sono venuti in mente tutti i momenti in cui da ragazzino  avevo paura di qualunque cosa e mi rifugiavo in un angolo della mia stanza sperando di riuscire a capire un giorno cosa mi stesse succedendo. Mi sono commosso specialmente nel momento che ha cambiato per sempre l’esistenza di Giulia. Quando i “Magnifici” hanno ucciso Red,  il simbolo di una vita che nell’esistenza moderna ha quasi perso significato. Mi ha colpito particolarmente perché anche io ho un piccolo  cagnolino, per il quale sarei disposto a tutto pur di ripagarlo dell’affetto che ogni giorno mi dona senza condizioni. Il suo unico scopo è quello di stare appiccicato a chi lo ha voluto e il solo pensare che c’è qualche mostro in grado di fare del male ad una creatura così piccola mi rabbrividisce.  Devo ringraziarti, perché mi hai fatto ricordare quello che diventando grandi alcune volte si dimentica: ciò che siamo dipende dalle scelte che abbiamo fatto per arrivare qui. Anch’io ogni volta che scrivo cerco di applicare questo principio. Quasi tutte le persone che conosco non riescono a comprendere questa piccola leggerezza della vita, imprecando contro un destino che li ha portati ad  essere ciò che non vogliono. Invece dovrebbero avere il coraggio di guardarsi allo specchio, appunto, come ha fatto Giulia, individuando il
colpevole dei propri sbagli e decidendo da soli il proprio destino. Cercando la propria strada in un altro tempo e in un altro luogo, trovando il coraggio necessario di ricominciare, invece di accomodarsi
su una vita che non capiscono, aspettando che giunga una mano divina per  renderli felice.  Sorrido pensando che hai scritto questo libro a 15  anni. A quell’età io non sapevo nemmeno la differenza tra un libro e un  quaderno…ero solo invaso da qualcosa che ancora oggi fatico a comprendere. Forse avrei dovuto conoscere Giulia (non ci crederai, ma è il mio nome femminile preferito…) per imparare più in fretta che la vita non è qualcosa che scivola via, ma qualcosa che va assaporato fino alla morte…o alla rinascita. Se sto discutendo con te di questo, comunque, so per certo di averla incontrata: perché se tutti i giorni sento una voce che mi sussurra di non arrendermi mai, credo che appartenga ad un Angelo di Strada…(Massimo Russo, scrittore)

Quando il romanzo fu presentato all’Associazione “Presidio del Libro – Magna Grecia”, nessuno poteva immaginare l’effetto sorprendente che avrebbe suscitato in ciascuno di noi. Personalmente, essendo “prevenuto” su certi argomenti, appena compresi che si trattava di seguire il percorso di una ragazza che va via di casa dopo un’infanzia  alquanto “movimentata”, inquieta ma non “torbida”, mi misi “in allerta” per cogliere gli aspetti negativi della vicenda  e potervi discutere sopra. Dopo un poco dimenticai dov’ero e vedevo con la mente  la campagna, il cielo, l’atmosfera fisica e lo stato d’animo che le descrizioni di Sara andavano dipingendo come un mondo di fiaba. Assistevo alle discussioni in famiglia col tremore di ascoltare qualche fatto tragico, temevo che lungo la strada e con una compagnia di giovani senza esperienza di vita e senza  uno scopo, se non quello di voler vivere liberamente, la protagonista finisse male.

Ma alla fine della lettura dei passi scelti per la serata, esclamai, senza rendermene conto, “Mamma mia!!!”. Non riuscivo più a trattenere un fiume di parole elogiative che si stringevano sull’uscio della mente impedendosi l’un l’altra di venir fuori con un ordine logico e con la dovuta forza espressiva. In pratica, erano tali lo stupore e l’ammirazione che erano i tratti del mio volto ed il mio continuo muovermi sulla sedia ad indicare da che cosa ero pervaso.

Poi, avutolo completo, lo lessi tutto d’un fiato senza riuscire a staccarmene, in qualche punto ho dovuto fermarmi perché le situazioni mi procuravano lacrime, e lo definii una poesia in prosa. E’ avvincente, cristallino, senza fronzoli, nessuna parola è fuori posto perché ognuna ha un suo ruolo ed una incastonatura precisa; è un’analisi della psiche umana senza alienazioni, dal disagio giovanile  alla maturazione dolorosa ma purificatrice, il cui culmine, come l’alba che segue al buio notturno, è la calma e dolce sera della vita, quando l’esperienza umana vede le cose con occhio sgombero da passioni e da sogni impossibili e si adagia su un affetto maturo e immutabile che tutti vorremmo. Volutamente non faccio riferimenti  a personaggi noti della cultura o ad opere che ben potrebbero essere collegati al romanzo: la Nostra, con questo romanzo, dimostra di non aver bisogno  di essere veicolata con accostamenti  prestigiosi: è già completa. Se l’estasi porta l’estasiato a perdersi nella persona o nella visione che lo astrae dalla realtà e dalla riflessione, la caratteristica che dà ad una poesia, o ad un romanzo o ad un’opera d’arte, l’attestazione indiscutibile della sua valenza che oltrepassa tempo, spazio, pensieri e costumi, è la sua capacità di farti vibrare all’unisono con l’opera stessa, farti tremare o gioire, impaurire o esaltarti, ma soprattutto la sua capacità di incidere nell’animo del fruitore lasciando un solco profondo  ed un seme che germoglia e non dissecca più: alias non sei più quello di prima perché l’opera in questione è entrata in te e vi rimarrà per sempre: è una nuova cellula spirituale, è un seme che germoglia e ti trasforma.

A conferma  di non essermi sbagliato nel ritenere un dono particolare la capacità descrittiva e la profondità dei sentimenti di Sara, espressi mirabilmente nei personaggi del romanzo, ancora oggi, a distanza di alcuni anni da quel momento magico del romanzo, ella, a seguito delle nuove  esperienze di vita, ha pensato che il finale poteva anche essere diverso. Ho letto i finali alternativi: un elemento è rimasto immutato: la magia del suo scrivere: il tutto sembra un collier  composto di tanti piccoli artistici castoni e perle, che sono le frasi e le parole,  un collier vivente, palpitante, umano, irresistibile. Un flusso spirituale sembra materializzarsi in un continuum che ti manda in estasi.

Appena terminata la lettura dei finali alternativi,  ho dovuto prendere carta e penna e scrivere su un foglietto che avevo a portata di mano queste parole che riporto senza cura: “Sei come un vento impetuoso che parla come un armonioso stormir di foglie, sei come un’alta cascata con la freschezza e il tintinnio di un ruscello; hai pensieri vasti e profondi come il mare, sequenze di immagini che avvolgono come vortice soffice e carezzane; le parole sono suoni che giungono al cuore  e fanno sussultare. Sei piacevole come il canto della mamma per  il bimbo che culla”.

Ho accettato di scrivere questa breve prefazione titubando, col tremore di non riuscire ad esserne all’altezza. La mia ammirazione interiore per quest’autrice di quattordici anni è per me un’unità di misura a cui mi avvicino sempre con molta umiltà: ma non potevo rifiutare, non potevo non essere riconoscente a chi fa solcare il vasto mare della produzione letteraria da un messaggio che i giovani tutti dovrebbero leggere, che genitori e figli dovrebbero leggere insieme, che Istituzioni Scolastiche e Istituzioni pubbliche dovrebbero proporre e diffondere perché è un vero siero spirituale, psicologico e morale contro le tossine che al presente letteralmente “assaltano” i nostri giovani e spesso ne minano l’esistenza. (Rocco Campese, poeta ed affezionato lettore)

Massimo Russo dopo aver ascoltato la puntata della mia trasmissione radiofonica dedicata alle sue opere mi ha scritto:

Ciao Sara.
[…]Raramente qualcosa nella vita riesce ancora a colpire la mia attenzione, tant’è che per cercare emozioni forti cerco di esplorare le profondità della mia anima, portando la mia fantasia ai confini della razionalità. Ma posso dirti con assoluto entusiasmo che tu sei riuscita a provocarmi un brivido lungo la schiena.
In tanti mi hanno detto che i miei libri sono belli, che i miei libri meriterebbero di più, che i miei libri…bla, bla, bla…pronunciando le parole che probabilmente credono che io voglia sentire, ma così piene di pateticità e senza alcuna verità. […]Ascoltando il modo in cui hai presentato le mie opere, ho sentito la verità nelle tue parole; nessuno meglio di te ha recepito i messaggi contenuti fra quelle pagine e nessuno meglio di te avrebbe potuto raccontarli meglio.
Non conosco le parole adeguate per ringraziarti delle emozioni che mi hai regalato, ma sappi che se ho ancora voglia di condividere le mie storie con qualcuno è soprattutto grazie a persone come te, capaci di ascoltare una voce sconosciuta che chiede solo di poter raccontare una storia.
Sono oltremodo lusingato dal fatto di essere stato in grado di stupirti…beh, sappi che se sono ancora capace di stupire qualcuno è solo perché c’è ancora qualcuno capace di emozionarsi…in un mondo normale questo dovrebbe essere una cosa normale, ma credo che nessuno possa smentirmi se affermo che, purtroppo, la capacità di emozionarsi sta diventando ormai una rarità assoluta.[…]
Grazie ancora
Ciao
Massimo”

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